Si chiama THCP, ed è un cannabinoide appena isolato e scoperto nella cannabis sativa da un’equipe di ricercatori italiani guidati dal professor Giuseppe Cannazza. La scoperta è sta pubblicata con uno studio scientifico su Scientific Reports, un giornale online che fa parte del network di Nature.
Estratto da una varietà di cannabis Sativa e più precisamente dalla FM2 prodotta a Firenze, il nuovo fitocannabinoide ha un’attività farmacologica in vivo superiore a quella del THC.
“Da tempo cerchiamo di studiare e comprendere la composizione chimica dei prodotti della canapa industriale e della cannabis sativa”, ci racconta Giuseppe Cannazza, autore dello studio ed esperto del dipartimento di Scienze della vita all’università di Modena e Reggio Emilia e del Cnr Nanotech di Lecce. “In questo lavoro abbiamo lavorato con la Fm2, cannabis prodotta in Italia dallo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, e abbiamo isolato, per la prima volta al mondo, un composto potenzialmente più attivo (o almeno attivo quanto) il Thc”. Cosa vuol dire potenzialmente? È presto detto: “Per quantificare l’attività del Thcp, che è un cosiddetto derivato alchilico a 7 termini, ne abbiamo studiato in vivo l’interazione con i recettori per i cannabinoidi, scoprendo in questo modo che è circa 33 volte più affine a essi rispetto al Thc. Siamo poi passati ai test in vivo, inoculando il composto su topi da laboratorio e osservando che il Thcp è attivo a dosi più basse rispetto al Thc, che se somministrato sotto i 10 millligrammi per chilo di peso non ha alcun effetto”. Possiamo essere certi, dunque, che il Thcp ha proprietà cannabinomimetiche, anche se ancora non sappiamo con certezza se e come le stesse proprietà possano osservarsi negli esseri umani. È come se si trattasse, per l’appunto, di un Thc potenziato, che potrebbe agire come il Thc ma già a dosi molto più basse. Sull’altro componente isolato, invece, si sa ancora poco, anche perché non sono ancora conosciuti con esattezza i meccanismi d’azione del suo analogo Cbd.
E ora? Prima di poter pensare a effettive applicazioni in ambito terapeutico – per esempio nella terapia del dolore, o per il trattamento di ansia, depressione, disturbi da stress post traumatico, epilessia, e tutte le patologie per cui sono allo studio gli effetti del Thc – c’è ancora molta strada da fare, sottolinea Cannazza: “Bisogna anzitutto cercare altre varietà di cannabis che producano il Thcp in quantità più significative: la Fm2 – quella che abbiamo studiato noi – ne produce infatti troppo poco perché abbia un qualche effetto terapeutico. E poi bisogna caratterizzarne meglio le proprietà, comprendendo se e come si replicano anche nell’essere umano. Speriamo di confermare quello che abbiamo già osservato, il che potrebbe significare di avere gli stessi effetti del Thc (attenzione: effetti collaterali compresi) con dosi molto minori”. Oltre a questa linea di ricerca, gli scienziati hanno anche intenzione di continuare nell’individuazione di classi di cannabinoidi ancora sconosciute: “Le varietà di cannabis sono tantissime. E potrebbero esserci tante sostanze ancora da scoprire. Abbiamo appena aperto una porta: c’è lavoro per un’intera generazione”.
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